E’ da qualche anno che scelgo di passare agosto a Milano, la mia città, e devo dire che ogni anno è un’ esperienza diversa perchè diversa mi sento io.
Prima di tutto la percezione del tempo che si dilata come le ore di luce, luce che in agosto è morbida, ha una languidezza tutta sua. Dalla finestra arrivano rumori lontani, di sottofondo, una musica, passi, vociare sommesso. Tutto pare invitare alla lentezza, anche in questa città troppo spesso dipinta come frenetica e dai ritmi convulsi. Un peccato che pochi vogliano poi restarci quando il ritmo si placa e Milano mostra un altro volto, fatto di accenti stranieri di turisti, del dialetto parlato dagli anziani e dai ritmi latini dalle radio dei riders.
Anche il mio lavoro rallenta, alcuni amici partono per le loro ferie, ho di certo più tempo da passare da sola, benchè io mi riservi tutto l’anno del tempo per me, ne ho bisogno.
Ho la percezione di un maggior contatto con le mie emozioni, quella parte profonda che troppo spesso tendiamo a mettere a tacere per non sentire, a questo ci serve il rumore, l’essere sempre così indaffarati e di corsa. E le sensazioni scomode emergono eccome: senso di solitudine, dubbi, pensieri ricorrenti e fastidiosi in un mondo che ci vorrebbe sempre sicuri, abili, capaci.
Più il tempo passa più mi apro ai dubbi, ho sempre più chiaro che la realtà è percezione individuale, la creiamo noi, dunque la mia realtà è solo una delle tante possibili, quindi cambiando percezione cambia tutto, ed è così. Il dubbio mi aiuta ad ampliare la visione del mondo, dei mondi possibili.
Ecco, agosto per me è esperimento, è anche stare scomoda senza le distrazioni della solita routine, è sentire ed accogliere quel sottile disagio del non conosciuto, delle domande, è stare ferma sul divano guardando fuori dalla finestra perdendo la percezione del tempo. Perchè, direte voi? Per sentire a che punto sono, come sto veramente, anche se a volte quello che arriva non mi piace. E per trasformare quello che arriva in dono di conoscenza più profonda, di gentilezza verso me stessa, laddove la vulnerabilità diventa forza.
In un bellissimo libro appena finito l’autrice parla della nostra epoca come di un tempo dominato dalla “tirannia della positività”, in cui bisogna dire sempre che va tutto bene, in cui stati d’animo come la malinconia vanno nascosti poichè giudicati inopportuni, da perdenti. E così fingiamo che tutto vada sempre alla grande, ma non è quello che poi le persone mi raccontano nelle sessioni di coaching, dove la fanno da padrone proprio i dubbi, la fatica di fingere, la tristezza soffocata.
E allora agosto per me è anche l’esercizio della malinconia.
Il libro è questo: Il dono della malinconia – Susan Cain
Vi auguro un Agosto prezioso, in ascolto