Allenare la fragilità in tempi fragili

Viviamo tempi complessi.

In un contesto sociale e culturale che sembra premiare solo la forza, la performance e la resilienza, chi mostra fragilità viene spesso escluso, giudicato o addirittura colpevolizzato. La narrazione dominante ci spinge a credere che la vulnerabilità sia un difetto da nascondere, quando invece è parte integrante della nostra condizione umana.

Un tessuto sociale che non migliora.

Questa esclusione non porta alcun beneficio collettivo. Al contrario, i fatti di cronaca ci ricordano con durezza quanto la rimozione della fragilità generi tensioni, solitudini e talvolta tragedie. Ignorare ciò che è fragile non lo fa scomparire: lo rende invisibile, e l’invisibilità è terreno fertile per il dolore silenzioso.

Le fragilità appartengo al nostro essere umani, sono proprio una cifra della nostra umanità. Ognuno di noi porta con sé temii di vulnerabilità, di incertezza, di caduta. La domanda che emerge è: dove si colloca il confine tra una fragilità che ci rende umani e una fragilità che diventa allarme? Non esiste una risposta univoca, ma forse è proprio nel riconoscere questo confine che possiamo imparare a prenderci cura di noi stessi e degli altri.

Non ho soluzioni, ma un invito.

Non scrivo queste righe per proporre ricette miracolose che non ho. Il mio intento è portare attenzione alla questione, avviare una riflessione che ciascuno possa fare dentro di sé. Nella mia esperienza professionale, il primo passo è imparare a guardare le fragilità senza giudicarle, accoglierle e restare con esse. condividerle. È un esercizio di presenza e di coraggio.

Il valore del chiedere aiuto.

Allenare la fragilità significa anche non temere di chiedere sostegno. Spesso la vergogna ci chiude, ci impedisce di esprimere ciò che proviamo. Eppure, aprirsi e condividere la propria vulnerabilità può trasformarsi in un gesto di forza autentica, un primo passo fondamentale, non un segno di debolezza, ma di fiducia: fiducia nella relazione, fiducia nella possibilità di essere accolti.

Fragilità come forza da portare alla luce

Allenare la fragilità in tempi fragili non è un lusso, ma una necessità. E’ un invito a riconoscerci umani, più umani nelle nostre crepe e cadute, e ripartire proprio da quelle cadute. Perché non sia poi irrimediabilmente troppo tardi. Già da oggi puoi cominciare ad ascoltare quelle tue parti che chiedono cura, ascolto, accoglienza. Può essere un nuovo importante inizio.

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Che faccio con la delusione?

La delusione è un’esperienza universale. Prima o poi, tutti ci scontriamo con aspettative non soddisfatte, progetti che non decollano, persone che ci deludono. Eppure, spesso siamo poco preparati a gestirla con consapevolezza. In ambito di coaching, la delusione non è vista come un fallimento, ma come un segnale potente che ci invita a guardare oltre.

La delusione nasce quando la realtà non corrisponde all’idea che ci eravamo fatti. È la distanza tra ciò che volevamo accadesse e ciò che effettivamente succede. Ma è anche un’emozione complessa, perché coinvolge il nostro sistema di valori, desideri e la fiducia che riponiamo negli altri o in noi stessi.

Le aspettative sono fondamentali: ci orientano, ci motivano, ci fanno puntare in alto. Ma quando diventano troppo rigide o idealizzate, finiscono per generare inevitabili scontri con la realtà. Spesso non siamo delusi dalle cose in sé, ma da quanto le avevamo sovraccaricate di attese. Allenarsi alla flessibilità e alla lucidità emotiva può ridurre l’intensità delle delusioni.

Una delusione ben regolata può diventare terreno fertile per la crescita personale. Invece di reprimerla o restare impigliati nel rancore e nella frustrazione, possiamo farle spazio: ascoltarla, comprenderne il messaggio, usarla come leva. Ogni volta che la realtà ci smentisce, ci offre implicitamente una nuova direzione da esplorare. È un invito a rivedere le nostre strategie, magari a ridefinire i nostri obiettivi o a cambiare approccio.

Essere delusi ci obbliga a fermarci, fare il punto e cercare dentro di noi risorse che prima ignoravamo. La resilienza, la creatività, la capacità di reindirizzare la nostra energia: tutte qualità che emergono proprio nei momenti di rottura. È come se la delusione ci aprisse una porta su una parte di noi ancora inespressa.

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E’ tornata estate

Note da una breve (ma intensa) vacanza:
* Lascio cadere ogni obbligo
* Da un caos di emozioni iniziale ad una maggior chiarezza.
* Ascolto come mi sento.
* Sempre più chiaro il valore del tempo e degli affetti
* L’ energia del mare da sempre è per me terapeutica
* Scopro in me nuove vulnerabilità
* Percepisco la danza continua tra presenze e assenze.
* Le risa dei bimbi piccoli mi commuovono.
* Non sempre rilassarmi mi è facile.
* Mi scopro spesso nostalgica, di quella nostalgia colma di Bellezza.
* La mia impronta malinconica non mi fa più paura
To be continued….

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Lezioni

Cose che ho imparato ad aprile:

⭐Tutto scorre, tutto cambia, che ci piaccia o meno
⭐Tutto cambia a seconda di come/dove lo si guarda .
⭐Sempre più mi accorgo che il tempo non è lineare ma circolare, passato, presente, futuro in continua connessione
⭐A volte meglio fermarsi.
⭐Ogni tanto fare il vuoto, non riempire a qualsiasi costo.
⭐La percezione della solitudine è un inganno della mente.
⭐Stare con ciò che provo è la via, per me.
⭐Le persone care non ci lasciano mai veramente.
⭐Sempre, un passo dopo l’ altro, un giorno alla volta, respiro dopo respiro.
⭐Certi passaggi sono dolorosi, e va bene così

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Il benessere emotivo

Si parla molto di emozioni e benessere emotivo ma cosa significa? Possiamo trovarlo e in che modo?

Innanzitutto è bene chiarire cosa sono le emozioni: programmi interni che si attivano ad iniziare dal corpo, in risposta a stimoli ed eventi esterni e hanno la funzione di preservare l’equilibrio del nostro sistema. Un esempio pratico: se provo l’emozione paura di fronte ad una minaccia metterò in moto comportamenti atti a proteggermi e portarmi in salvo.

Le emozioni sono anche in relazione a schemi comportamentali, credenze antiche, suggestioni che appartengono alla nostra storia personale, all’ambiente in cui siamo cresciuti, a schemi culturali.

Tornando al concetto di benessere emotivo: Prima di tutto smettiamo di usare la catalogazione in emozioni positive e negative: le emozioni sono tutte neutre, consideriamo negative quelle per noi più pesanti (paura, tristezza, rabbia, disgusto, disprezzo) ma tutte hanno una loro importante funzione per la nostra evoluzione!

Le emozioni primarie sono sette: Paura, tristezza, rabbia, gioia, sorpresa, disprezzo, disgusto. Ce ne sono poi di composite, la vergogna ad esempio, è un misto di tristezza e disprezzo. Il punto di partenza è riconoscerle, sentirle nel corpo, diventarne consapevoli. Ogni emozione ha manifestazioni fisiche specifiche (ad esempio nella rabbia c’è percezione di calore che sale agli arti superiori e al petto).

In un percorso di crescita personale volto al benessere emotivo io individuo dunque questi passaggi fondamentali:

_Riconoscimento dell’emozione, cosa sto provando, dove nel corpo?

_Riconoscimento di cosa mi ha attivato quella specifica emozione, il cosiddetto trigger (esempio: nella paura il trigger è la percezione di una minaccia), diventarne consapevole.

_Riconoscere se ci sono emozioni che vivo con una forte intensità, che ho difficoltà a gestire, che mi sequestrano completamente, e lavorare per regolarle, MAI reprimerle.

_Elaborare strategie adeguate per far si che l’emozione lavori per il mio benessere. La rabbia, ad esempio, è grande fonte di energia che incanalata in modo appropriato può permettermi di superare ostacoli e raggiungere il mio obiettivo. La tristezza ascoltata e lasciata fluire mi permette di raccogliermi ed elaborare un dolore, un momento particolare.

Ecco allora che il benessere emotivo sta nella capacità, che si può apprendere ed allenare, di stare e fluire con tutte le emozioni, nella capacità di regolare l’ansia (che altro non è che la difesa che usiamo per non sentire un’emozione per noi critica), nel sentire nel corpo come le emozioni si muovono.

Ho visto nei percorsi con me, tante persone mettere in moto importanti cambiamenti e raggiungere maggiore armonia nelle proprie vite grazie al lavoro sulle emozioni. Secondo me non se ne può prescindere se vogliamo cambiamenti efficaci e duraturi e vogliamo migliorare le relazioni tutte.

Se desiderate approfondire potete contattarmi. Qui sotto, letture per esplorare:

Diego Ingrassia – Il cuore nella mente –

Erica F. Poli – Le emozioni che curano –

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Visitando una mostra

Agosto ed io

E’ da qualche anno che scelgo di passare agosto a Milano, la mia città, e devo dire che ogni anno è un’ esperienza diversa perchè diversa mi sento io.

Prima di tutto la percezione del tempo che si dilata come le ore di luce, luce che in agosto è morbida, ha una languidezza tutta sua. Dalla finestra arrivano rumori lontani, di sottofondo, una musica, passi, vociare sommesso. Tutto pare invitare alla lentezza, anche in questa città troppo spesso dipinta come frenetica e dai ritmi convulsi. Un peccato che pochi vogliano poi restarci quando il ritmo si placa e Milano mostra un altro volto, fatto di accenti stranieri di turisti, del dialetto parlato dagli anziani e dai ritmi latini dalle radio dei riders.

Anche il mio lavoro rallenta, alcuni amici partono per le loro ferie, ho di certo più tempo da passare da sola, benchè io mi riservi tutto l’anno del tempo per me, ne ho bisogno.

Ho la percezione di un maggior contatto con le mie emozioni, quella parte profonda che troppo spesso tendiamo a mettere a tacere per non sentire, a questo ci serve il rumore, l’essere sempre così indaffarati e di corsa. E le sensazioni scomode emergono eccome: senso di solitudine, dubbi, pensieri ricorrenti e fastidiosi in un mondo che ci vorrebbe sempre sicuri, abili, capaci.

Più il tempo passa più mi apro ai dubbi, ho sempre più chiaro che la realtà è percezione individuale, la creiamo noi, dunque la mia realtà è solo una delle tante possibili, quindi cambiando percezione cambia tutto, ed è così. Il dubbio mi aiuta ad ampliare la visione del mondo, dei mondi possibili.

Ecco, agosto per me è esperimento, è anche stare scomoda senza le distrazioni della solita routine, è sentire ed accogliere quel sottile disagio del non conosciuto, delle domande, è stare ferma sul divano guardando fuori dalla finestra perdendo la percezione del tempo. Perchè, direte voi? Per sentire a che punto sono, come sto veramente, anche se a volte quello che arriva non mi piace. E per trasformare quello che arriva in dono di conoscenza più profonda, di gentilezza verso me stessa, laddove la vulnerabilità diventa forza.

In un bellissimo libro appena finito l’autrice parla della nostra epoca come di un tempo dominato dalla “tirannia della positività”, in cui bisogna dire sempre che va tutto bene, in cui stati d’animo come la malinconia vanno nascosti poichè giudicati inopportuni, da perdenti. E così fingiamo che tutto vada sempre alla grande, ma non è quello che poi le persone mi raccontano nelle sessioni di coaching, dove la fanno da padrone proprio i dubbi, la fatica di fingere, la tristezza soffocata.

E allora agosto per me è anche l’esercizio della malinconia.

Il libro è questo: Il dono della malinconia – Susan Cain

Vi auguro un Agosto prezioso, in ascolto

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Pensare col corpo

Cosa accade dentro di noi quando vivamo in continuo affanno, rincorrendo attività varie sempre di fretta, quando fermarsi un attimo sembra impossibile ed è quasi scomodo?

Cosa accade dentro di noi quando siamo sequestrati emotivamente da una difficoltà e giriamo a vuoto cercando soluzioni sempre uguali e siamo prigionieri di meccanismi sempre identici?

Cosa accade dentro di noi quando siamo convinti che solo gli altri possano colmare i nostri vuoti emotivi e dunque elaboriamo tutti i nostri comportamenti esclusivamente sul bisogno?

Cosa accade nel corpo a seconda del tipo di lavoro svolto?

Cosa accade al nostro corpo a seconda di cosa e come mangiamo ?

Cosa accade dentro di noi in relazione a come viviamo l’intimità sessuale?

Cosa accade dentro di noi in relazione allo spazio e ai confini personali che mettiamo nella nostra vita?

Chi mi conosce e lavora con me sa bene quanto io ami le domande, quelle che sfidano le nostre credenze e le nostre rigidità, che sono poi le nostre gabbie. Porci domande soprattutto sulle questioni più spinose per noi ci aiuta ad evolvere, ad uscire dagli schemi ormai conosciuti e che non funzionano più, a trasformare situazioni e trovare soluzioni più funzionali a ciò che stiamo vivendo. Ampliando gli orizzonti ci sentiamo e viviamo meglio.

Le domande citate sopra e molte altre trovano risposte e spunti di riflessionei in un libro che ho trovato davvero sorprendente e che vi consiglio caldamente. Anche il momento può essere favorevole, a breve entreremo in Primavera, stagione di fioritura e rinascita, come vogliamo viverla?

Buona lettura !

PENSARE COL CORPO – Jader Tolja, Francesca Speciani – ed. Tea

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Trappole

Tutti noi abbiamo una percezione del mondo e di ciò che ci accade che molto ha a che vedere con impronte, modelli che si sono originati all’inizio delle nostre vite e che riguardano la nostra storia emotiva personale.

Semplificando al massimo: gestiamo le nostre emozioni per come siamo stati abituati a sentirle e gestirle nelle prime fasi della vita. Abbiamo credenze, modelli che sono nati dalle nostre prime relazioni con chi si è preso cura di noi. Alcuni di questi modelli si rivelano talvolta, in età adulta, delle vere e proprie trappole che bloccano la nostra autenticità e libertà di esprimere ciò che siamo, si trasformano in vere e proprie gabbie.

Ne descrivo qui alcune ricordando che spesso le utilizziamo in modo automatico, senza esserne consapevoli:

_ DEVO ESSERE SEMPRE FORTE: non ci permettiamo di sentirci fragili, vulnerabili, di chiedere aiuto. Abbiamo difficoltà a dire i nostri NO, a porre i nostri sani confini. Ci si prende cura di tutto e tutti tranne che di noi stessi, per ritrovarci poi sfiniti, prosciugati, pieni di una rabbia intensa e il più delle volte repressa.

_NON E’ GIUSTO CHE IO MI ARRABBI: ci è stato insegnato, o lo crediamo noi, che arrabbiarsi sia sbagliato, una manifestazione emotiva scomoda e sconveniente, quindi ci reprimiamo tutte le volte che ci arrabbiamo, spesso per l’errata convinzione che “SE MI ARRABBIO SONO MENO AMABILE”.

_SONO RESPONSABILE DEL MONDO INTERO: ci sentiamo responsabili per qualsiasi cosa, a cominciare dalla felicità di chi ci sta vicino, dunque quando qualcosa non va ce ne prendiamo piena responsabilità, vogliamo aggiustare, trovare subito soluzioni sempre, nel lavoro, a casa, nelle relazioni tutte.

_POSSO SEMPRE FARE MEGLIO: nulla è mai abbastanza buono, posso sempre fare di più, non sono mai appagato.

_NON SONO AMABILE: ci sentiamo sbagliati sempre, chiunque è meglio di noi, nessuno può amarci poichè valiamo poco.

_ DEVO GIUSTIFICARE LA MIA ESISTENZA FACENDO CONTINUAMENTE QUALCOSA: se non siamo sempre in azione, in movimento, proviamo disagio, quel senso di vuoto che ci terrorizza e che quindi cerchiamo di riempire di attività. Peccato che poi il vuoto torni comunque.

Solo nel momento in cui diventiamo consapevoli di quali siano i nostri schemi profondi, le nostre credenze, allora possiamo lavorare per scioglierle, ammorbidirle, provare strade nuove che ci permettano di vivere in sintonia con chi siamo e con le emozioni che proviamo e che non abbiamo più necessità di reprimere nell’illusione di essere più accettati e degni di amore. Il coaching si rivela strumento potente per fare ciò.

Una lettura straordinaria sul tema: Quando il corpo dice no – Gabor Matè

Scrivimi per un incontro esplorativo: ferrariste66@gmail.com

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Corpo, mente, emozioni

Facciamo ancora tanta fatica a concepire questi tre elementi in strettissima connessione, in un’unica entità in cui c’è continua correlazione, relazione, comunicazione.

Spessissimo i clienti nelle sessioni mi descrivono sintomi fisici usando l’espressione “ma questi sono fatti fisici, Stefania”, a voler dire che quello che provano, da quanto e come lo provano, le difficoltà che si trovano ad affrontare, impronte familiari particolarmente dolorose ed in genere la storia personale, non abbiamo niente a che vedere con lo sviluppo di sintomi fisici.

Infatti la nostra medicina suggerisce terapie che aggrediscono il sintomo, lo mettono a tacere. Ma il paziente è davvero guarito? Dal sintomo si, nel senso che il sintomo se ne va. Ma cosa intendiamo per “guarigione”?

Nella mia esperienza personale mi sono trovata ad accusare sintomi che mi hanno lasciato in pace solo quando ho risolto situazioni di vita che si sono rivelate non essere sane per me, la mia guarigione è passata attraverso una guarigione delle emozioni che mi rifiutavo di sentire, e che dunque urlavano le loro ragioni attraverso il sintomo, appunto.

Lungi da me a questo punto l’addentrarmi in temi medici specifici, non è certo il mio ambito. Credo fermamente però che valga la pena ampliare la visione che oggi (ancora, ahimè) è tanto, troppo limitata in materia di connessione corpo/emozioni/sintomi.

C’è una lettura meravigliosa che consiglio a chiunque abbia anche un minimo dubbio o voglia entrare più in profondità.

L’autore, Gabor Matè, ha un curriculum ed una storia personale che parlano da soli, verificate voi stessi.

Che dire, leggetelo, ne vale davvero la pena.

“Quando il corpo dice no” Gabor Matè – ed. Il leone verde